Rossanda e la crisi

Rossana Rossanda sul Manifesto del 5 aprile ragiona delle elezioni del 4 marzo. La crisi della sinistra la pone nel tempo lungo, la vede come risultato terminale di un processo di autodissoluzione iniziato almeno dal 1989, dalla svolta di Occhetto.
Da allora si è intrapresa "una vera e propria distruzione di una delle sinistre europee più importanti" lungo un processo che passato per PDS-DS-PD infine proprio con il renzismo ha avuto il suo esito estremo di sconfitta e disperazione, riscontrato nelle ultime elezioni. Che la disfatta abbia riguardato anche la cosiddetta sinistra radicale da Rifondazione a SEL a LEU significa solo che la mancanza di alternativa alla crisi ha riguardato nell'insieme sinistra moderata, sinistra radicale e centro-sinistra. Il successo dei 5Stelle si spiega solo alla luce di una disfatta di portata decennale.
Per altro Rossanda allarga lo sguardo allo scacchiere europeo riscontrando con la crisi di dissoluzione del PD anche la "totale sparizione dei partiti socialisti" (cita il caso spagnolo con la crisi del PSOE e la nascita di Podemos, Macron in Francia che prende certo anche voti socialisti, per non dire della scomparsa del Pasok in Grecia ecc.).
Che fare? Certo non può bastare il qualche protagonismo 'sociale' della Fiom, perché "il compito di un partito è diverso e politicamente molto più radicale" di un sindacato o di un movimento.
Un nuovo partito della sinistra. La pietra d'inciampo alla fine è sempre questa. Rossanda conclude auspicando una ricerca che prescinda da "certe facilità circa 'la linea togliattiana'". Allusione ambigua. Ritengo che se la sinistra italiana vuole ancora avere un futuro la "linea togliattiana" deve abbandonarla in quanto tale, proprio perché è alla base delle tare storiche che la oberano dal PCI al PD.

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